Long-Covid: cos’è?

Long-Covid: cos’è?

Da più di un anno a questa parte, abbiamo imparato a conoscere i sintomi del coronavirus: perdita di gusto e olfatto, dolori muscolari, difficoltà respiratorie -solo per citarne qualcuno.

Quando la persona apprende di essere infetta da COVID-19 ci può essere uno stress emotivo significativo. Infatti l’esperienza di una malattia potenzialmente letale può essere fonte di grave angoscia, e talvolta può anche aggravare un disturbo psichiatrico preesistente.

La presenza di sintomi particolarmente gravi, la preoccupazione di infettare altre persone, l’isolamento sociale e le preoccupazioni per l’eventuale perdita del lavoro può provocare una grave angoscia, che può persistere a lungo.

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Cosa accade quando ci si “negativizza”?

I sintomi, tuttavia, non si risolvono sempre quando il tampone risulta -finalmente!- negativo. Questi possono infatti persistere infatti dopo la fase acuta, anche a distanza di un anno, causando disagio significativo nella persona.

Un numero significativo di pazienti con malattia da COVID-19 continua ad avere sintomi correlati anche dopo la fase acuta della malattia: è ciò che viene chiamato Long-Covid.

Sintomi persistenti, inclusi quelli neurologici, possono essere simili a quelli della fase acuta: inclusi anosmia, ageusia, vertigini, cefalea. A volte, però, si accompagnano umore depresso, ansia e difficoltà cognitive.

Molti sopravvissuti al COVID-19 sperimentano anche sintomi fisici persistenti come tosse, affaticamento (“fame d’aria”), dispnea e dolore anche dopo un recupero iniziale.

Sintomi cognitivi

Oltre ai sintomi fisici, a volte nel Long-Covid compaiono difficoltà di memoria, di attenzione, di concentrazione e disorientamento che si riflettono in difficoltà nel portare a termine lavori e attività quotidiane. Si sperimenta dunque deflessione del tono dell’umore o sintomi ansiosi legati anche a queste difficoltà.

Le forme più gravi di COVID-19 possono causare danni cerebrali duraturi e aumentare il rischio di ictus e deterioramento cognitivo vascolare. Inoltre, molte delle anomalie metaboliche che colpiscono i pazienti COVID-19 possono anche aumentare il rischio di sviluppare demenza.

Demenza e COVID-19 condividono fattori di rischio, come età, sesso, ipertensione, diabete, obesità e l’APOE ε4, la proteina coinvolta nella malattia di Alzheimer e nelle malattie cardiovascolari.

Tali meccanismi simili possono anche spiegare l’alta incidenza e l’aumento dei tassi di mortalità tra le persone con demenza, nonché le problematiche relative ai disturbi di memoria, attenzione e disorientamento che si trovano nei pazienti Long-Covid.

Tuttavia, le cause alla base del Long-Covid non sono ancora del tutto chiare.

Alla luce dei sintomi variabili che possono manifestarsi, potrebbe non esserci solo un fattore predisponente. Un’ipotesi considerata da diversi studi è una patogenesi infiammatoria autoimmune che coinvolgerebbe, oltre ai polmoni e all’apparato muscolo-scheletrico, il cuore e il cervello.

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